“Il principio di maggioranza non nasce con la democrazia, né la sua storia coincide con quella della democrazia come forma di governo” (CASSESE 1995: 36) e, tuttavia, esso ha finito per diventare emblematico della democrazia. Secondo Jean Bodin, per esempio, “è democratico quello Stato in cui ha la sovranità la maggioranza dei cittadini, sia che si voti per testa, sia per tribù, per classi, per parrocchie, per comunità” (I p. 658). Il principio di m. entra nella storia moderna con Locke in sostituzione del principio di unanimità.
5.1 Il principio di maggioranza DD
Per la DD, il principio di m. è solo uno strumento prezioso allorché si voglia chiudere una controversa questione di natura tecnica, che richiede adeguate conoscenze e sulla quale gli studiosi non trovano un accordo unanime. Per esempio, se avvertiamo la necessità di costruire una centrale nucleare e vogliamo appurare che essa non comporti rischi per le persone, interpelleremo i massimi esperti e, in caso di invincibili discordanze, potremo seguire le indicazioni fornite dalla maggioranza di essi.
Secondo la DD, il principio di m. si applica bene anche in tutte le decisioni di natura politica. Per esempio, una volta stabilito che la centrale nucleare comporta un certo rischio, oltre che un certo costo, dobbiamo decidere se farla costruire lo stesso o se è meglio orientarci verso altre possibili alternative precedentemente illustrate dai relativi esperti.
Il principio di m. non si applica invece alle questioni etiche, come l’uso di anticoncezionali, il divorzio, l’aborto, l’eutanasia, la fecondazione assistita, le coppie di fatto, i matrimoni fra gay, e via dicendo, e ancor meno alle questioni di fede. Qui ognuno dovrà essere lasciato libero di pensarla come gli pare. E non si applica nemmeno ai diritti democratici del cittadino, come la libertà di pensiero, di culto, di parola, di stampa, associazione, e via dicendo, che non dovranno essere considerati oggetto di discussione o di voto.
In tutti i casi, poi, in cui sia lecito votare, non vale la regola che «tutti» debbano votare. Non ha senso, infatti, il giudizio su una questione da parte di chi su quella questione non nutra alcun interesse o non abbia alcuna competenza. Il voto effettuato da una minoranza di cittadini interessati e competenti non è meno democratico di quanto lo sarebbe se vi avesse partecipato la rimanente maggioranza solo per dovere. Suffragio universale non significa che tutti devono votare. Sarà dunque opportuno che, sulle singole questioni, vengano chiamati a decidere tutti i cittadini che se ne sentano competenti, oltre che ne abbiano un qualche interesse. “Democrazia significa poter decidere non solo sulla base dei propri interessi ma anche delle proprie competenze” (Grazzini 2008: 243). Con questi limiti, potrà valere il principio di maggioranza, ma ad una ulteriore condizione: la volontà espressa dalla maggioranza dovrà essere considerata alla stessa stregua di un’opinione.
Il voto non è un dovere, ma un diritto. E, se vogliamo che questo diritto sia esercitato in maniera responsabile, come sarebbe auspicabile in una democrazia matura, esso deve essere qualificato. Infatti, come osserva Dahl, “Non sempre la maggioranza del demos comprende i propri interessi meglio di una minoranza qualificata” (2001: 124). Semmai, sarebbe auspicabile poter perseguire l’ideale di un intero popolo che sia interessato e competente in tutto, ma questo, oltre ad essere improbabile, è comunque un’altra questione.
5.2 Il principio di maggioranza DR
Il principio di maggioranza è stato acquisito da tutti i sistemi DR come la migliore soluzione possibile. L’onnicrazia – osserva Bobbio – è solo “un ideale-limite”, mentre “la regola fondamentale della democrazia è la regola della maggioranza” (1991: 5). Anche secondo Pasquino, “la decisione a maggioranza è lo strumento più importante per garantire la legittimità di qualsiasi decisione” (2007: 170). Del resto, come sottolinea Sartori, “se i conflitti non vengono risolti a maggioranza, quale è l’alternativa? Il ricorso alla forza? La sottomissione a un despota? Dunque, anche volendone dire male, il criterio maggioritario è il male minore” (1993: 97). Il principio di maggioranza “legittima il potere politico” (LUTTWAK, CREPERIO VERRATTI 1996: 57) ed è ritenuto così importante da indurre taluno ad identificarlo con la democrazia tout court. “Una democrazia che cerchi di affermarsi contro la volontà della maggioranza ha cessato di essere una democrazia” (KELSEN 1995: 27).
Detto questo, occorre tuttavia precisare che il principio di m. assume un significato chiaro solo se viene rapportato con un termine di confronto: «maggioranza di chi?». E qui le cose cambiano a seconda che la m. venga riferita agli aventi diritto, ossia a tutti i cittadini, oppure solo ai votanti, il che può generare problemi di ordine metodologico e pratico, che sono legati in parte alla definizione stessa del termine «maggioranza» e in parte alla sua concreta applicazione.
C’è poi un altro problema, che consiste nel come si possa “essere governati da una maggioranza di popolo, senza essere da questa oppressi o limitati” (CASSESE 1995: 44), e non sembra che la DR abbia risposte valide a questo interrogativo.
5.3 Limiti del principio di maggioranza
Oltre ad essere «irreale», il principio di m. presenta importanti limiti intrinseci, che sono stati magistralmente così riassunti da Norberto Bobbio (1999): è antidemocratico, nella misura in cui esso viene imposto a coloro che lo rifiutano (p. 397); è incompatibile col principio dell’inviolabilità dei diritti dell’uomo (p. 399); è inidoneo a prendere posizioni vincolanti su questioni scientifiche e tecniche (p. 400); è impotente nei cosiddetti casi di coscienza (p. 401); è incapace di cambiare la storia e la tradizione di un popolo, o di tutelare le differenze etniche interne in uno stesso popolo (p. 402); in ogni caso si tratta di un principio che rientra nella sfera dell’opinabile e non dà garanzie di giustizia e di verità (p. 400). E, infatti, come correttamente osserva Hayek, “il concetto di giustizia non ha senso se si definisce giusta qualsiasi misura approvata dalla maggioranza” (1994: 380).
Quest’ultimo punto merita particolare attenzione. L’opinione della maggioranza è pur sempre un’opinione e “Può accadere che sia giusta l’opinione della minoranza e non quella della maggioranza” (KELSEN 1995: 269). Il principio di maggioranza “attribuisce il potere di decidere alla «maior pars», che può non corrispondere alla «melior pars»” (CASSESE 1995: 40). In altri termini, non è il numero che garantisce la verità e la giustezza di un’idea o di un atto. “Niente dimostra infatti che il punto di vista seguito dai più sia il migliore e, al contrario, si potrebbe senz’altro convenire sulla preferibilità delle opinioni sostenute dalla sanior pars, rispetto a quelle proprie della maior pars, se non fosse a sua volta problematico stabilire quale sia la sanior pars” (PIZZORUSSO 1993: 32). In altri termini, la verità può risiedere nella minoranza e perfino nel singolo individuo, anche se spesso lo si capisce solo a distanza di tempo.
Insomma, non è detto che affidarsi alla maggioranza sia sempre la soluzione più saggia, anche perché accade spesso che molti cittadini decidono su questioni sulle quali non hanno competenza. “La maggioranza schiacciante di non agricoltori sarebbe chiamata a decidere degli interessi di un milione e mezzo di agricoltori; la maggioranza schiacciante di non laureati dovrebbe decidere quali risorse sono destinate alla formazione e alla ricerca; la maggioranza cattolica potrebbe decidere delle scelte morali di chi cattolico non è” (BIN 1998: 74). In tal modo, la volontà dei più s’impone su quella di minoranze qualificate e il principio di forza (la forza del numero) prevale su quello della competenza.
Il limite più inaccettabile del principio di m. risiede nell’essenza stessa del principio, che consiste nella prevalenza di un gruppo su un altro solo sulla base del numero. Dove c’è la m., la minoranza cessa, indipendentemente da ogni altra considerazione. La m. ha ragione perché è più numerosa, la minoranza ha torto perché è minoritaria. Con questa logica, l’individuo, che rappresenta la minoranza per eccellenza, ha sempre torto. In altri termini, i principio di m. demolisce la libertà e la sovranità dell’individuo. Questo limite lo aveva già notato chiaramente Tocqueville: “il principio di maggioranza non è solo una regola parlamentare, ma è un criterio che decide della verità o della falsità delle opinioni, è un perentorio invito che la società rivolge a ogni suo membro perché si conformi all’opinione dei più. Il valore primario che viene messo a repentaglio, dai costumi sociali prima che dal potere legislativo, è l’autonomia del soggetto: la sua possibilità di determinarsi, di scegliere in sovrana libertà la sua originale forma di vita” (COSTA 2005: 67).
Una delle conseguenze più temute della DR, già dai tempi di Tocqueville, è il rischio della tirannia di una m., cui si è cercato di porre un rimedio con la costituzione, la quale “riconosce in anticipo, nello stesso momento in cui stabilisce gli organi attraverso i quali la sovranità popolare potrà esercitarsi, una serie di diritti individuali che neanche questa sovranità potrà ritogliere o menomare: il che comporta l’obbligo preventivo e irrevocabile dello stato di permettere ad ogni cittadino il libero esercizio di certe attività individuali, l’ambito delle quali deve costituire intorno ad ogni persona una specie di «zona franca» riservata alle sue iniziative, entro la quale lo stato si impegna a non penetrare” (Calamandrei 1995: 95-6).
5.4 Limiti del sistema maggioritario
Questi problemi diventano particolarmente critici nei sistemi maggioritari, che tendono a sovra-rappresentare i partiti maggiori e a sotto-rappresentare i partiti minori e dove può avvenire che un gruppo (di solito la maggioranza, ma talvolta una minoranza) assuma tutto il potere e tiranneggi legalmente un altro gruppo. Il rischio che la democrazia possa risolversi in un dominio opprimente della maggioranza su una minoranza era stato già individuato da Senofonte (Memorabili I 2, 45). Per tale motivo, secondo Lijphart, il sistema maggioritario “si rivela non solo non democratico, ma anche pericoloso [... perché ...] porta alla dittatura della maggioranza e alla guerra civile” (1988: 32-3). Infatti, molti governi liberamente eletti si appellano a detto principio “per perseguitare minoranze etniche o determinati gruppi sociali” (ARCHIBUGI, BEETHAM 1998: 20). Lo stesso principio maggioritario può essere usato da un leader, che, avvalendosi dell’autorità che gli deriva dal consenso della maggioranza, può approfittare per perseguire disegni politici personali. Un altro importante limite del maggioritario è che, fino alle successive elezioni, esso rimane relativamente cristallizzato e non tiene conto del fatto che, nel frattempo, “colui che vota con la maggioranza può cambiare opinione” (CASSESE 1995: 39). Secondo Giovanni Jervis, “soltanto i populisti, i quelli amano il proprio potere assai più che le istituzioni democratiche, ritengono che la volontà della maggioranza abbia carattere di investitura plenipotenziaria nei loro confronti” (2005: 157).
In pratica, nei sistemi politici maggioritari avviene che “Si sommano gli effetti di due paradossi, che, espressi in forma numerica, possono presentarsi così: 35=51, 51=100, dunque 35=100” (CASSESE 1995: 39). Ciò vuol dire che il 35% degli aventi diritto può assumere l’intero potere politico! Facciamo un esempio concreto: nel marzo 1994, in Italia, “su 48 milioni 235 mila cittadini aventi diritto al voto sono stati 9 milioni 697 mila quelli che si sono emarginati per astensione, schede bianche o errate. Un elettore su cinque non ha contribuito a scegliere il futuro personale e del Paese” (CALVI, VANNUCCI 1995: 149). Ne consegue che i rappresentanti sono stati eletti dall’80% degli aventi diritto. Ora, il 50% + 1 dell’80%, corrisponde a poco più del 40%, è cioè una minoranza dell’intera popolazione con diritto di voto. In un sistema DR, dunque, può accadere, anzi capita spesso, che una minoranza governi sulla maggioranza, esattamente il contrario di quanto vorrebbe la regola democratica.
Giovanni Sartori si dichiara perfettamente consapevole del fenomeno, ma non vi trova nulla di male. Per lui, quello che conta è che la «regola maggioritaria» sia stata comunque rispettata, anche se poi, in realtà, il governo viene esercitato da una minoranza, che diviene sempre più piccola, a mano a mano che cala la partecipazione o si va su nella piramide delle istituzioni: la maggioranza dei parlamentari è in realtà un’esigua minoranza oligarchica rispetto alla totalità dei cittadini. Secondo Sartori, “quel che sembra un paradosso, se non addirittura una contraddizione, e cioè che la democrazia dovrebbe essere un governo di maggioranza e invece viene governata da una piccolissima minoranza, in verità non è tale” (2008: 27). Sarà, ma questa argomentazione non mi sembra molto convincente.
18. Il contratto politico
15 anni fa
Nessun commento:
Posta un commento