A partire dalla comparsa del Sapiens e almeno fino al XIX secolo della nostra era, il principio di forza ha esplicitamente governato i rapporti fra gli uomini e fra i popoli. Chi vince ha ragione e acquista il diritto di sfruttare le risorse naturali e dettare la propria legge, acquisendo ricchezza e potere, ma, per riuscire in ciò, è necessario un esercito. Come ha correttamente osservato Denis Diderot, “Chi non è padrone dell’esercito, non è padrone di nulla. Chi è padrone dell’esercito, è padrone delle finanze” (1967: 341). Insomma, la forza genera ricchezza, la ricchezza accresce la forza. Da ciò deriva il maggiore degli imperativi morali, che Diderot sintetizza così: “Sii il più forte” (1967: 354). Questo è il principio supremo, la stella polare, la bussola che ha guidato l’uomo nel corso della sua lunga storia, senza mai venir meno, nemmeno dopo la proclamazione dei diritti umani nel secolo scorso.
Secondo l’opinione comune, chi supera le prove più terribili uscendone indenne o vittorioso, perciò stesso dimostra di godere dei favori della fortuna o della divinità ed è meritevole di assumere il comando e fare da guida agli altri uomini. La prova delle prove è la guerra: chi vince in guerra è automaticamente legittimato a governare un popolo e a fissare le regole politiche. È lo stesso principio dell’ordalia, che è antico almeno quanto la guerra. Nell’ordalia l’indiziato è sottoposto ad una prova pericolosa e potenzialmente mortale e, a seconda che egli la superi o meno, si emette un giudizio di innocenza o colpevolezza, che non è supportato da un’indagine probatoria, bensì da una presunta volontà celeste.
Il principio di forza non solo è operante, ma è anche consustanziale allo Stato stesso. Infatti, com’è stato ripetutamente affermato da eminenti studiosi, da Hobbes a Hegel, da Weber a Kelsen, lo Stato si fonda in ultima istanza sull’esercizio monopolistico della forza. Anche se la forza di una gendarmeria urbana, in grado solo di arrestare un criminale o di rendere inoffensivo un manipolo di facinorosi, non è la stessa cosa che disporre di eserciti e armamenti sofisticati e distruttivi, in entrambi i casi il principio di forza è centrale.
8.1. Dalla forza al diritto
Secondo Luigi Ferrajoli, i diritti si sarebbero affermati “come leggi del più debole in alternativa alla legge del più forte che vigeva e vigerebbe in loro assenza” (2001: 22). Essi però non hanno eliminato il principio di forza, ma semplicemente lo hanno messo in secondo piano. Lo dimostra il fatto che, fino al XIX secolo, è stato considerato del tutto normale, oltre che apprezzabile, che un giovane rampollo di nobile schiatta provasse eccitazione all’idea di cimentarsi nell’altrettanto nobile arte della guerra, che aveva l’effetto di allontanarlo da una insulsa vita oziosa e dischiudergli le porte dell’onore e della gloria. “In fondo, la guerra è bella: un sovrano è più o meno glorioso in ragione delle guerre che ha combattuto; un nobile è tale perché destinato alle armi fin dalla nascita. La guerra è in certo modo un diporto signorile per le aristocrazie e le teste coronate” (SPINI 1968: 89). La proclamazione dei diritti non è servita, dunque, a rimuovere il principio di forza. È servita piuttosto a legittimare la leadership della classe dominante e a rendere accettabile l’imposizione del tributo e della coscrizione. Analogamente, anche nei rapporti fra individui l’ultima parola è sempre spettata alla forza fisica delle armi e per molto tempo i gentiluomini hanno fatto ricorso al duello per difendere la propria reputazione e le proprie ragioni.
L’uomo vittorioso è sempre stato reputato un grande uomo, chiunque egli fosse, e quando, con i favori della sorte, le sue gesta sono state emulate dai suoi discendenti per qualche generazione, ciò è bastato per indurre gli adulatori a creare genealogie e racconti mitici tali da proiettarlo in una dimensione eroica o divina e a legittimare l’intera sua stirpe in posizione di comando. È così che si sono affermate le grandi dinastie, di cui sono piene le pagine dei libri di storia, che hanno tenuto in stretto controllo il popolo grazie all’uso della forza. Con l’affermazione dello Stato di diritto è avvenuto che “l’uso della forza è controllato dalla legge” (Della Porta 2009: 14).
Dopo la seconda guerra mondiale sembrava che il principio di forza potesse essere disattivato dalla paura incussa dalle armi di distruzione di massa, ma la realtà ha dimostrato che questa aspettativa era infondata. Infatti, non solo le guerre sono continuate, ma è avvenuto che i paesi più deboli e apparentemente privi di ogni chance di affermazione hanno trovato il modo di mettere paura ad una superpotenza. Oggi possiamo prendere atto che “il più debole è forte abbastanza per minacciare la più forte, la più ricca, la più sicura l’unica potenza mondiale. Perfino la potenza militare più armata e più completa mai prodotta dalla storia mondiale è indifesa dagli attacchi terroristici” (BECK, GRANDE 2006: 314). In realtà, il terrorismo non mette in discussione il principio di forza, ma lo ridefinisce, aggiungendo nuovi strumenti di violenza a quelli già noti.
Per quel che attiene il modo di porsi nei confronti del principio di forza, le differenze fra DD e DR sono notevoli.
8.2. Il principio di forza DD
“Le guerre – scrive Mary Kaldor – rappresentano la sconfitta della politica democratica e lo scoppio di una guerra rende più forti i soggetti con un interesse politico ed economico personale alla perpetuazione della violenza. Non vi sono né chiare vittorie né chiare sconfitte, perché le parti in guerra si sostengono politicamente ed economicamente, perpetuando la violenza. Le guerre distruggono ciò che resta delle attività produttive, minano la legittimazione delle istituzioni e ingrassano la criminalità” (2004: 134). In linea con questa posizione, la DD aborrisce la guerra e attua una politica ispirata a principi di giustizia, che tende a due obiettivi conseguenti: al cosmopolitismo prima e al disarmo poi. L’unico principio di forza riconosciuto dalla DD è quello della persuasione.
Tuttavia, poiché la DD ha il senso della realtà e si rende ben conto che il disarmo non può essere attuato prima che si creino le opportune condizioni favorevoli, essa propone di procedere per gradi. Il primo passo dovrebbe essere quello di dare uno stop ai nuovi programmi di armamento, il secondo, di avviare un graduale processo di distruzione delle armi di distruzioni di massa già esistenti, che dovrebbe procedere di pari passo con un altrettanto graduale processo parallelo finalizzato a smantellare gli stati-nazione e a realizzare un government o una governance mondiali. Quando questi due processi fossero giunti a totale compimento, si potrebbe passare alla fase del disarmo totale.
8.3. Il principio di forza DR
In teoria, anche la DR ripudia la guerra. Si consideri l’art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti umani: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”. Non si vede come una guerra, a qualsiasi titolo condotta, possa rispettare questo articolo. Anche la nostra Costituzione ripudia la guerra (art. 11) e nello stesso tempo tutela i diritti (art. 2), la dignità (art. 3) e la salute (art. 32) dei suoi membri. Dunque, si direbbe, difende a spada tratta la vita dei cittadini. Ciò però non impedisce che l’Italia disponga di un discreto apparato militare e partecipa ad azioni di guerra qua e là nel mondo, mandando i suoi figli a rischiare quella vita che essa afferma di voler tutelare. I fatti sembrano dimostrare che la DR non riesce a fare a meno del principio di forza, da cui è regolata e che è parte integrante del suo DNA, anche se evita di affermarlo apertamente. Perfino nei paesi più civili, il principio di forza sembra rappresentare il diritto supremo, il diritto dell’ultima parola e si continua a ricorrere a ragioni giustificative.
Nel corso della storia si è sempre avvertito il bisogno di giustificare la guerra, il cui costo appariva così spaventoso che dovevano essere chiare ai guerreggianti le ragioni per cui quel costo doveva essere necessariamente affrontato. Oggi si parla poco di «guerra giusta», e tanto meno di guerra d’aggressione, perché, evidentemente, dopo millenni di guerre devastanti e spesso inutili, la gente è diventata smaliziata e diffidente. Oggi crea più consenso uno Stato che dichiara di ripudiare la guerra e di prendersi a cuore la vita dei suoi cittadini, anche se poi i fatti sono diversi. Oggi piuttosto si assiste ad un fenomeno curioso: da una parte le costituzioni e i governi ripudiano la guerra, dall’altra parte ci sono studiosi che decantano la guerra (FINI 1999) o che la descrivono come una realtà ineluttabile, come il generale Carlo Jean, il quale, preso atto che “le guerre continuano. Continuano malgrado le invettive, le condanne, le esortazioni e le prediche” (1996: 3), conclude che è inutile ignorare la guerra, perché la guerra esiste ed “è una realtà, che si impone con la sua presenza e con le sue ragioni” (1996: 4).
Jean conduce la sua argomentazione con una logica apparentemente inappuntabile. La forza, dice, non è di per sé né buona né cattiva; buona e cattiva è la volontà di chi della forza si serve per i propri fini, che consistono in definitiva nel costringere qualcuno a fare o a non fare qualcosa. Secondo il generale, la forza è necessaria per molte cose, per esempio, per conferire autonomia allo Stato. “Parlare di autonomia, senza avere le capacità militari per tradurla in realtà, è non solo privo di significato, ma anche pericoloso” (1996: 79). Sarebbe, dunque, opportuno che l’Italia disponga di un armamento completo, efficace e moderno, adeguato al ruolo internazionale che essa intende interpretare (1996: 120-8). In ultima istanza, la guerra è vista da Jean, come una normale funzione della politica: “La guerra è strumento della politica, non solo di quella estera, ma anche di quella interna: trasferisce ricchezza, azzera debiti, modifica i rapporti sociali e territoriali, assicura carriere e occupazione” (1997: 13).
8.3.1. Il principio di forza è ancora primario
Senza volere entrare nel merito delle affermazioni di Jean, è opportuno rimarcare che, se oggi si continua a giustificare la guerra, ciò vuol dire che il principio di forza è ben operante nel rapporto fra Stati. Più precisamente, anche se è stato da taluno rilevato che i paesi DR dimostrano meno propensione a farsi guerra fra loro, in realtà questo vale solo fra paesi federati, talché, secondo Angelo Panebianco, “tutte le ricerche confermano che le democrazie partecipano a guerre con la stessa frequenza dei regimi autoritari” (1997: 90-1).
8.3.2. Il principio di forza indebolisce il diritto
Verosimilmente, se il mondo e le società fossero più giusti, se i diritti delle persone fossero effettivamente rispettati in tutti i casi, non ci dovrebbe essere un così generalizzato ricorso alla forza. Ma, come ben si sa, dove parlano le armi tacciono i diritti. La legge del più forte è talmente radicata nelle nostre menti che ci sembra naturale perfino tentare l’esportazione della democrazia con le armi. “L’impero della forza torna ad imporsi a quello del diritto, e chi la possiede si rivela insofferente alle regole giuridiche, viste come un impaccio” (RODOTÀ 1999: 17). Ormai siamo talmente anestetizzati che non ci meravigliamo se un mondo siffatto premia la disonestà e l’inclinazione al male. “In un sistema che funziona in base alla legge del più forte, del più furbo, i perversi sono sovrani. Quando il successo è il valore primario, l’onestà sembra debolezza e la perversità passa per capacità di cavarsela” (HIRIGOYEN 2000: 217).
La centralità del principio di forza nella DR è confermata dalla storia dell’ultimo secolo, che ha visto paesi «democratici» fomentare sentimenti nazionalistici e divenire protagonisti di due guerre mondiali e di numerosi altri conflitti armati in varie parti del pianeta. Ancora oggi, tutti gli Stati democratici, in primo luogo gli Usa, continuano a spendere somme ingenti di denaro per alimentare i loro micidiali e sofisticati apparati militari, la cui funzione, in teoria, sarebbe quella di difendere la pace ed esportare la democrazia, oltre che di garantire l’ordine e la giustizia nel mondo, ma la realtà è diversa, lo vediamo bene. I dubbi su questi nobili intenti sono legittimati dal fatto che gli Usa sono l’unico paese al mondo che ha usato ordigni atomici contro obiettivi civili e che, non accontentandosi di possedere i più terrificanti arsenali militari al mondo, sogna di dotarsi di uno scudo spaziale, in modo tale da poter attaccare senza essere attaccato. Il fatto che gli americani continuino a spendere in armamenti più che in qualsiasi altro settore sociale sta a dimostrare, in modo inequivocabile, che essi pensano alla guerra, non solo come strumento di difesa, ma anche di offesa e che si servono di pretesti ideologici, come quello di diffondere la democrazia, per mascherare la loro politica di potenza (CANFORA 2007: 74).
18. Il contratto politico
15 anni fa
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